La “barra” di Orione erosa dai raggi ultravioletti
Nuove spettacolari immagini dal James Webb Telescope: un gruppo di studio a guida franco-canadese, a cui partecipano anche tre ricercatori Inaf, ha prodotto una prima analisi sui dati relativi alla Nebulosa di Orione e, in particolare, a una zona chiamata “barra di Orione”. Grazie a una fortunata configurazione di prospettive, queste immagini potranno essere la base per nuove pubblicazioni scientifiche, spiega Giacomo Mulas dell’Inaf di Cagliari.
Il James Webb Space Telescope (Jwst) continua a immortalare gli oggetti più famosi del cielo, quelli con cui si possono fare dei facili confronti fotografici tra le tecnologie del passato e quelle del presente e del prossimo futuro. E lo fa rendendo i dati e le immagini immediatamente disponibili per la comunità scientifica tramite un “Early Science Program” che ha consentito ad un gruppo di ricerca internazionale a guida franco-canadese, a cui partecipano anche tre ricercatori Inaf – Giuseppe Baratta, Giacomo Mulas e Maria Elisabetta Palumbo – di visionare e pubblicare le prime immagini di Jwst relative alla celebre nebulosa di Orione, una delle “culle di stelle” più conosciute e studiate dagli astronomi. Sono ovviamente le immagini più chiare, dettagliate e brillanti di sempre che mostrano, in realtà, un piccolo particolare dell’intero complesso: la “barra”, una zona di gas densi che viene colpita dalla radiazione ultravioletta proveniente da un’altra zona della nebulosa ricca di nuove stelle, quella del Trapezio.
«La cosiddetta Barra di Orione – spiega Giacomo Mulas dell’Inaf di Cagliari – è il prototipo di una “Photo Dissociation Region” (Pdr), o regione di fotodissociazione. È una porzione della nube di gas denso da cui si stanno formando le stelle giovani, massicce e calde che illuminano la nebulosa di Orione stessa, che ha una struttura grossolanamente stratificata in piani paralleli perpendicolari alla direzione da cui la osserviamo». In altre parole, da qui riusciamo a vedere tali strati di profilo e – grazie alla potenza del Jwst ed anche alla vicinanza della nebulosa, solamente 1300 anni luce da noi – con dettagli mai visti.
«La sua struttura fisica e chimica – prosegue Mulas – è prodotta dall’effetto dell’intensa radiazione ultravioletta delle stelle del Trapezio di Orione (in alto a destra nell’immagine, ndr), che la illuminano da un lato. Gli astronomi possono quindi osservare in maniera molto nitida, data anche la relativa vicinanza, tutte le transizioni chimiche e fisiche al crescere della distanza dal Trapezio: prima la regione completamente ionizzata, poi il fronte di ionizzazione, la zona in cui pressoché tutte le molecole sono fotodissociate, poi il fronte di fotodissociazione, poi la nube molecolare vera e propria. In ognuno di questi “strati” si può dettagliatamente andare a studiare la morfologia fisica dettagliata, quali specie chimiche sono presenti, le relazioni tra loro, i loro stati di eccitazione, per esempio tramite lo strumento Alma dell’Eso nella regione spettrale del millimetrico e submillimetrico. Ora il Jwst ci permette di osservare questa regione “con occhi nuovi”, quelli dell’infrarosso vicino e medio, rendendoci accessibili osservazioni di sensibilità e risoluzione sia spettrale che spaziale enormemente superiori rispetto al passato».
«Questo, a sua volta, ci permetterà di capire nei dettagli in che modo la luce “scavi” nella nube molecolare, spingendo avanti i fronti di ionizzazione e dissociazione, apparentemente piani su larga scala ma ricchi di strutture complesse su scale più piccole. E ci rende direttamente osservabili a questo livello di dettaglio tutte le specie molecolari non polari, invisibili nel radio, quindi anche ad Alma, ma perfettamente visibili nell’infrarosso tramite le loro transizioni vibrazionali. Tra queste, per esempio, particolarmente prominenti sono le emissioni degli idrocarburi aromatici policiclici (i cosiddetti Pahs), una famiglia di molecole osservata ovunque ci siano materia interstellare illuminata da ultravioletti, la cui composizione precisa ci è però tuttora ignota. Capirne meglio il comportamento in una regione di cui possiamo studiare i più piccoli dettagli consentirà ad altri astronomi di utilizzarle al meglio come “traccianti” delle condizioni fisiche e chimiche delle nubi in cui si trovano, anche a distanze cosmologiche» conclude Mulas.
Per tutte queste ragioni, la Barra di Orione è stata proposta dalla collaborazione internazionale PDRs4all, a cui partecipano diversi ricercatori dell’Inaf, come un candidato ideale per una delle prime campagne osservative di “Early Release Science” del Jwst. Questa proposta è stata selezionata, e adesso stiamo tutti vedendo i primi spettacolari dati che sta producendo, che sembrano mantenere tutte le promesse di Jwst.
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