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ELENCO DI TUTTI I POST SUL SISTEMA SOLARE

venerdì 6 agosto 2021

Nuove osservazioni ESO di L98-59, mostrano un eso-pianeta roccioso di massa pari alla metà di Venere.

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Aggiornato il 06/08/2021

IL SISTEMA di L98-59

Un'equipe di astronomi ha utilizzato il Very Large Telescope (VLT) dell'Osservatorio Europeo Australe (ESO) in Cile per gettare nuova luce sui pianeti attorno a una stella vicina, L 98-59, simili a quelli del Sistema Solare interno. 
Tra i risultati: 
 - un pianeta L98-59a con la metà della massa di Venere, l'esopianeta più leggero mai misurato con la tecnica della velocità radiale.
 - un mondo oceanico L98-59d.
 - un possibile pianeta nella zona abitabile L98-59f.

"Il pianeta che si trova nella zona abitabile potrebbe avere un'atmosfera per proteggere e sostenere la vita", afferma María Rosa Zapatero Osorio, astronoma del Centro di Astrobiologia di Madrid, in Spagna, e autrice dello studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics, ad agosto 2021.


Questi risultati sono un passo importante nella ricerca di vita sui pianeti delle dimensioni della Terra al di fuori del Sistema Solare. La scoperta di tracce biologiche su un esopianeta dipende dalla capacità di studiarne l'atmosfera, ma i telescopi attuali non sono abbastanza grandi da raggiungere la risoluzione necessaria per farlo per piccoli pianeti rocciosi. 
Il sistema planetario appena studiato, chiamato L 98-59 dalla sua stella, è un obiettivo interessante per future osservazioni dell'atmosfera degli esopianeti. Orbita intorno a una stella distante solo 35 anni luce da noi e ora si è scoperto che ospita pianeti rocciosi, come la Terra o Venere, abbastanza vicini alla stella da non essere ghiacciati.

Con il contributo del VLT dell'ESO, l'equipe è stata in grado di dedurre che tre dei pianeti potrebbero contenere acqua nel sottosuolo o nell'atmosfera. I due pianeti più vicini alla stella nel sistema L 98-59 sono probabilmente asciutti, anche se non è escluso che abbiano piccole quantità di acqua, mentre fino al 30% della massa del terzo pianeta L98-59d potrebbe essere composto di acqua, rendendolo un mondo oceanico.

Inoltre, l'equipe ha scoperto in questo sistema planetario alcuni esopianeti "nascosti" che non erano stati precedentemente individuati. Hanno scoperto un quarto pianeta e sospettano l'esistenza di un quinto, in una zona alla giusta distanza dalla stella affinché l'acqua possa rimanere liquida in superficie. "Abbiamo indizi della presenza di un pianeta terrestre nella zona abitabile di questo sistema", spiega Olivier Demangeon, ricercatore presso l'Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço, Università di Porto in Portogallo e autore principale del nuovo articolo.

Lo studio rappresenta una vera svolta dal punto di vista tecnico, poiché gli astronomi sono stati in grado di determinare, utilizzando il metodo della velocità radiale, che il pianeta più interno del sistema ha solo la metà della massa di Venere. 
Questo lo rende l'esopianeta più leggero mai misurato con questa tecnica, che calcola l'oscillazione della stella causata dalla minuscola attrazione gravitazionale dei vari pianeti in orbita.

Per analizzare L 98-59, l'equipe ha utilizzato lo strumento ESPRESSO (Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanets and Stable Spectroscopic Observations) installato sul VLT dell'ESO. "Senza la precisione e la stabilità fornite da ESPRESSO questa misurazione non sarebbe stata possibile", afferma Zapatero Osorio. "Questo è un passo avanti nella nostra capacità di misurare la massa dei pianeti più piccoli al di là il Sistema Solare".

Gli astronomi hanno individuato per la prima volta tre dei pianeti di L 98-59 nel 2019, utilizzando il satellite TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della NASA, che si basa su una tecnica chiamata metodo del transito - in cui la diminuzione della luce della stella, causata da un pianeta che le passa davanti, viene utilizzato per dedurre le proprietà del pianeta - per trovare i pianeti e misurarne le dimensioni. Tuttavia, è stato solo con l'aggiunta delle misurazioni della velocità radiale effettuate con ESPRESSO e con il suo predecessore, HARPS (High Accuracy Radial Velocity Planet Searcher) installato al telescopio dell'ESO da 3,6 metri a La Silla, che Demangeon e il suo gruppo sono stati in grado di trovare nuovi pianeti e misurare la massa e il raggio dei primi tre. "Se vogliamo sapere di cosa è fatto un pianeta, il minimo di informazioni che servono sono la sua massa e il suo raggio", spiega Demangeon.

Elenco pianeti:
 - L 98-59 b è un mini esopianeta terrestre che orbita attorno a una stella di tipo M. 
La sua massa è di (da 1,01 a 0,5 masse terrestri a seconda, nell'ordine, dei primi o più recenti studi), impiega 2,3 giorni per completare un'orbita della sua stella e dista 0,02282 UA dalla sua stella. 
La sua scoperta è stata annunciata nel 2019.

 - L 98-59 c è un super esopianeta terrestre che orbita attorno a una stella di tipo M. 
La sua massa è di 2,42 Terre, impiega 3,7 giorni per completare un'orbita della sua stella e dista 0,0317 UA dalla sua stella. 
La sua scoperta è stata annunciata nel 2019.

 - L 98-59 d è un super esopianeta terrestre che orbita attorno a una stella di tipo M. 
La sua massa è di 2,31 Terre, impiega 7,5 giorni per completare un'orbita della sua stella e dista 0,0506 UA dalla sua stella. 
La sua scoperta è stata annunciata nel 2019.

 - L 98-59 e (in attesa di conferma)
La sua scoperta è stata annunciata nel 2021.

 - L 98-59 f (in attesa di conferma) si troverebbe nella zona abitabile.
La sua scoperta è stata annunciata nel 2021.

LINK:
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A cura di ESO.


mercoledì 4 agosto 2021

LE STRANE NUBI DELLA NANA BRUNA 2Mass J22081363+2921215 . by MediaINAF.

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Aggiornato il 05/08/2021

L’ATMOSFERA DI QUESTA “STELLA MANCATA” APPARE STRATIFICATA

Fra le nubi della nana bruna

2Mass J22081363+2921215

Tracciare la struttura delle nubi di una giovane nana bruna per cercare di capire come potrebbe essere la struttura atmosferica degli eso-pianeti più massicci di Giove. L’impresa è riuscita a un gruppo di astronomi con osservazioni spettro-fotometriche nel vicino infrarosso della giovane nana bruna 2Mass J22081363+2921215 a soli 115 anni luce da noi e i risultati sono sorprendenti.

SCRITTO DA:       02/08/2021

Rappresentazione artistica della giovane nana bruna 2Mass J22081363+2921215, posta alla distanza di circa 115 anni luce da noi e con una massa circa 16 volte quella di Giove. Crediti: Nasa, Esa, Stsci, Leah Hustak (Stsci), Greg T. Bacon (Stsci).

Le nane brune sono oggetti sub stellari con una massa al confine fra stelle e pianeti giganti gassosi: la loro massa è troppo esigua per essere delle vere stelle, non sono in grado di sostenere la fusione dell’idrogeno in elio e passano tutta la vita a contrarsi e a raffreddarsi emettendo calore nello spazio.

Per via di questa contrazione continua, i corpi giovani hanno raggi più grandi e una gravità superficiale inferiore rispetto alle loro controparti più vecchie. Dal punto di vista fisico, le giovani nane brune e le atmosfere degli esopianeti giganti – i pianeti con una massa fino a 13 volte superiore a quella di Giove – condividono i colori, le temperature e la gravità superficiale. A differenza degli esopianeti, le nane brune  si trovano per lo più isolate nello spazio, non necessariamente in orbita attorno a brillanti stelle di sequenza principale: è questo il motivo per cui il loro studio è più facile e l’analisi delle loro atmosfere è un buon punto di partenza per cercare di capire quale possa essere la struttura atmosferica di un esopianeta gigante.

Sono queste le considerazioni fisiche che hanno portato un gruppo di astronomi guidato da Elena Manjavacas (Space Telescope Science Institute) a compiere uno studio spettro-fotometrico nell’infrarosso vicino dell’atmosfera della giovane nana bruna 2Mass J22081363+2921215 usando gli strumenti del Keck I Observatory, posto sul Maunakea, Hawaii. Questa “stella mancata”, a 115 anni luce da noi, ha una massa 16 volte quella di Giove, una temperatura di 1800 K (circa 1500 °C) e una gravità di 4g. In generale le osservazioni fotometriche e spettroscopiche mostrano che la maggior parte delle nane brune è variabile sia in luminosità, sia nel tipo spettrale, molto probabilmente a causa dell’esistenza di diversi strati di nubi eterogenee nelle loro atmosfere che evolvono mentre ruotano. Sfruttando questo fatto, lo scopo delle osservazioni del team di Manjavacas era ottenere informazioni sulla struttura verticale dell’atmosfera di 2Mass J22081363+2921215.

Rappresentazione delle nubi dell’atmosfera della nana bruna 2Mass J22081363+2921215 così come risulta dalle osservazioni e dal modello utilizzato per la loro elaborazione. Crediti: Nasa, Esa, Stsci, Andi James (Stsci)

Dai dati fotometrici risulta che, durante le osservazioni, il flusso infrarosso della nana bruna (una volta corretto per gli effetti atmosferici e strumentali) è variato del 3 per cento – in buon accordo con il periodo di rotazione noto, che è di circa 3,5 ore. La variabilità della curva di luce infrarossa indica che durante il periodo di osservazione è stato possibile vedere zone esterne fredde e zone interne più calde dell’atmosfera della nana. La stessa variabilità si ritrova negli spettri, specie nelle righe dovute ai metalli alcalini, come il potassio e il sodio: correlando la variabilità fotometrica con quella spettroscopica è stato possibile risalire a un modello della struttura 3D dell’atmosfera della nana bruna in grado di spiegare ragionevolmente bene quanto osservato.

Le osservazioni suggeriscono che la nana bruna abbia un’atmosfera stratificata solcata da nuvole sparse. Gli spettri mostrano la presenza di nuvole di granelli di sabbia calda e altri elementi esotici. Lo ioduro di potassio traccia l’atmosfera superiore, che include anche nuvole di silicato di magnesio. Scendendo nell’atmosfera c’è uno strato di ioduro di sodio e nuvole di silicato di magnesio. Lo strato finale più basso è costituito da nuvole di ossido di alluminio. La profondità totale dell’atmosfera è stata stimata in circa 718 chilometri.

Come si vede si tratta di un’atmosfera con nubi molto esotiche se le paragoniamo a quelle della nostra Terra, che si limitano al semplice vapore acqueo. Questo studio mostra le potenzialità del metodo spettro-fotometrico nell’infrarosso per analizzare la struttura verticale delle atmosfere degli esopianeti giganti: i risultati saranno anche più dettagliati una volta che entrerà in funzione il James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale infrarosso che con i suoi 6,6 metri di diametro e grazie all’assenza dell’atmosfera potrà ottenere risultati molto importanti sulla fisica degli esopianeti. 

I risultati del lavoro di Manjavacas e colleghi verranno pubblicati sul The Astronomical Journalil pre-print è già disponibile su arXiv.org.

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Da MediaINAF di Albino Carbognani.

giovedì 22 luglio 2021

L'ESOPIANETA - PDS 70c - HA UN DISCO CIRCUMPLANETARIO. by ESO.

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PDS 70c

Visto per la prima volta un disco che potrebbe formare una luna intorno a un esopianeta.

Utilizzando l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), di cui l'ESO (Osservatorio Europeo Australe) è partner, alcuni astronomi hanno rilevato inequivocabilmente per la prima volta la presenza di un disco intorno a un pianeta al di fuori del Sistema Solare. Le osservazioni aiuteranno a comprendere meglio come si formano le lune e i pianeti nei giovani sistemi stellari.

"Il nostro lavoro mostra una chiara identificazione di un disco in cui potrebbero formarsi dei satelliti", afferma Myriam Benisty, ricercatrice dell'Università di Grenoble, in Francia, e dell'Università del Cile, alla guida del nuovo studio pubblicato oggi su The Astrophysical Journal Letters. "Le nostre osservazioni con ALMA sono state ottenute con una risoluzione così fine che abbiamo potuto identificare chiaramente che il disco è associato al pianeta e siamo in grado di definirne, per la prima volta, le dimensioni", aggiunge.


Il disco in questione, detto disco circumplanetario, circonda l'esopianeta PDS 70c, uno dei due pianeti giganti, simili a Giove, in orbita intorno a una stella distante quasi 400 anni luce. Gli astronomi avevano già trovato indizi di un disco in procinto di formare una luna intorno a questo esopianeta ma, poiché non potevano distinguere chiaramente il disco dall'ambiente circostante, non potevano confermarne l'esistenza - fino ad ora.

Inoltre, con l'aiuto di ALMA, Benisty e il suo gruppo hanno scoperto che il disco ha circa lo stesso diametro della distanza tra Sole e Terra e una massa sufficiente per formare fino a tre satelliti delle dimensioni della Luna.

Ma questi risultati non sono solo la chiave per scoprire come vengono formate le lune. "Queste nuove osservazioni sono anche estremamente importanti per dimostrare alcune teorie sulla formazione dei pianeti che non potevano essere verificate fino ad ora", afferma Jaehan Bae, ricercatore dell'Earth and Planets Laboratory del Carnegie Institution for Science, USA, e tra gli autori dello studio.

I pianeti si formano in dischi pieni di polvere intorno a stelle giovani,  e ne scavano cavità quando, per crescere, divorano materiale da questo disco circumstellare. In questo processo, un pianeta può acquisire il proprio disco circumplanetario, che contribuisce alla crescita del pianeta regolando la quantità di materiale che vi cade sopra. Inoltre, il gas e la polvere nel disco circumplanetario possono unirsi in corpi progressivamente più grandi attraverso molteplici collisioni, portando infine alla nascita delle lune.

Ma gli astronomi non comprendono ancora pienamente il dettaglio di questi processi. "In breve, non è ancora chiaro quando, dove e come si formano i pianeti e le lune", spiega Stefano Facchini, borsista dell'ESO, altro protagonista nella ricerca.


“Finora sono stati trovati più di 4000 esopianeti, ma tutti sono stati rilevati in sistemi evoluti. PDS 70b e PDS 70c, un sistema che ricorda la coppia Giove-Saturno, sono gli unici due esopianeti trovati finora ancora in fase di formazione", spiega Miriam Keppler, ricercatrice presso il Max Planck Institute for Astronomy in Germania e coautrice dello studio.
Ma nonostante la somiglianza con la coppia Giove-Saturno, si noti che il disco intorno a PDS 70c è circa 500 volte più grande degli anelli di Saturno.

“Questo sistema ci offre quindi un'opportunità unica per osservare e studiare i processi di formazione di pianeti e satelliti”, aggiunge Facchini.

PDS 70b e PDS 70c, i due pianeti che compongono il sistema, sono stati scoperti per la prima volta utilizzando il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO rispettivamente nel 2018 e nel 2019 e grazie alla loro natura unica sono stati osservati con altri telescopi e strumenti molte volte da allora.
PDS 70b è stato scoperto utilizzando lo strumento SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch), mentre PDS 70c è stato trovato con lo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) del VLT. 
Il sistema dei due pianeti è stato studiato anche con lo strumento X-shooter, anch'esso installato sul VLT dell'ESO.

Le ultime osservazioni con ALMA ad alta risoluzione hanno ora permesso agli astronomi di acquisire ulteriori informazioni sul sistema. Oltre a confermare il rilevamento del disco circumplanetario intorno a PDS 70c e studiarne le dimensioni e la massa, hanno scoperto che PDS 70b non mostra prove chiare di un disco simile, cosa che suggerisce che la polvere sia stata sottratta al suo ambiente natale da PDS 70c.

Una comprensione ancora più profonda del sistema planetario sarà raggiunta con l'ELT (Extremely Large Telescope) dell'ESO, attualmente in costruzione sul Cerro Armazones nel deserto cileno di Atacama. "L'ELT sarà fondamentale per questa ricerca poiché, con la sua risoluzione molto più elevata, saremo in grado di mappare il sistema in modo molto dettagliato", afferma il coautore Richard Teague, ricercatore presso il Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian, USA. In particolare, utilizzando lo strumento METIS (Mid-infrared ELT Imager and Spectrograph) dell'ELT, l'equipe sarà in grado di osservare i moti del gas intorno al PDS 70c per ottenere un'immagine 3D completa del sistema.

( Posizione in cielo di PDS 70 ).
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A cura di ESO.


mercoledì 16 giugno 2021

RISOLTO IL MISTERO DI BETELGEUSE, colpa della ''polvere di stelle''. by ESO.

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IL MISTERO DI BETELGEUSE

Quando Betelgeuse, una brillante stella di color arancione nella costellazione di Orione, è diventata visibilmente più fioca tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020, la comunità degli astronomi era perplessa. Un'equipe di astronomi ha ora pubblicato nuove immagini della superficie della stella, scattate utilizzando il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO (l'Osservatorio Europeo Australe), che mostrano chiaramente come sia cambiata la sua luminosità. La nuova ricerca rivela che la stella era parzialmente nascosta da una nube di polvere, una scoperta che risolve il mistero della "Grande Attenuazione" di Betelgeuse.

Il calo di luminosità di Betelgeuse - un cambiamento evidente anche a occhio nudo - ha portato Miguel Montargès e la sua equipe a puntare il VLT dell'ESO verso la stella, alla fine del 2019. 
Un'immagine presa nel dicembre 2019, confrontata con un'immagine precedente scattata nel gennaio dello stesso anno, ha mostrato che la superficie stellare era significativamente più scura, specialmente nella regione meridionale. 
Ma gli astronomi non erano sicuri del perché.

L'equipe ha continuato a osservare la stella durante il periodo della "Grande Attenuazione", catturando altre due immagini mai viste prima in gennaio e in marzo 2020. Nell'aprile 2020 la stella era tornata alla sua luminosità normale.

"Una volta tanto, abbiamo visto l'aspetto di una stella cambiare in tempo reale su una scala di settimane", afferma Montargès, dell'Observatoire de Paris, Francia, e KU Leuven, Belgio. 
Le immagini ora pubblicate sono le uniche che mostrano la superficie di Betelgeuse cambiare di luminosità nel tempo.

Nel loro nuovo studio, pubblicato oggi dalla rivista Nature, l'equipe ha rivelato che il misterioso oscuramento è stato causato da un velo polveroso che copriva la stella. 
A sua volta il velo era il risultato di un calo della temperatura sulla superficie stellare di Betelgeuse.

La superficie di Betelgeuse cambia regolarmente, mentre bolle giganti di gas si muovono, si restringono e si gonfiano all'interno della stella. 
L'equipe ha concluso che, qualche tempo prima della "Grande Attenuazione", la stella aveva espulso una grande bolla di gas che si è quindi allontanata. 
Quando una zona della superficie si è raffreddata appena dopo, quella diminuzione di temperatura è stata sufficiente per far condensare il gas in polvere solida.

"Abbiamo assistito direttamente alla formazione della cosiddetta polvere di stelle", aggiunge Montargès, il cui studio fornisce la prova che la formazione di polvere può avvenire molto rapidamente e molto vicino alla superficie di una stella. 
"La polvere espulsa dalle stelle fredde evolute, come l'espulsione a cui abbiamo appena assistito, potrebbe continuare fino a diventare uno dei mattoni costitutivi dei pianeti terrestri e della vita", dice Emily Cannon, di KU Leuven, anch'essa coinvolta nello studio.

Invece che il semplice risultato di un'esplosione polverosa, sono state proposte online alcune speculazioni sul fatto che che il calo di luminosità di Betelgeuse potesse segnalare la sua imminente morte in una spettacolare esplosione di supernova. 
Non si sono osservate supernove nella nostra galassia fin dal XVII secolo, quindi gli astronomi odierni non sanno esattamente cosa aspettarsi da una stella che si prepari a un simile evento. 
Tuttavia, questa nuova ricerca conferma che la "Grande Attenuazione" di Betelgeuse non è stata un segnale precursore del drammatico destino finale della stella.

Assistere all'calo di luminosità di una stella così nota è stato emozionante sia per gli astronomi professionisti che per quelli dilettanti, come ben riassume Cannon: “Guardando le stelle di notte, questi minuscoli punti di luce scintillanti sembrano perpetui. Il calo di luminosità di Betelgeuse rompe questa illusione".

L'equipe ha utilizzato lo strumento Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch (SPHERE) installato sul VLT dell'ESO per visualizzare direttamente la superficie di Betelgeuse, insieme con i dati dello strumento GRAVITY installato sull'Interferometro del VLT (VLTI) dell'ESO, per monitorare la stella durante l'oscuramento. 
I telescopi, situati presso l'Osservatorio dell'ESO al Paranal nel deserto di Atacama in Cile, sono stati uno "strumento diagnostico vitale per scoprire la causa di questo evento di attenuazione", afferma Cannon. "Abbiamo potuto osservare la stella non come un singolo punto di luce, abbiamo potuto risolvere i dettagli della sua superficie e monitorarla durante l'evento", aggiunge Montargès.

Montargès e Cannon sono impazienti di sapere cosa porterà il futuro dell'astronomia, in particolare cosa porterà nel loro studio su Betelgeuse, una stella supergigante rossa, l'Extremely Large Telescope (ELT) dell'ESO. 
"Con la capacità di raggiungere risoluzioni spaziali senza precedenti, l'ELT ci consentirà di visualizzare direttamente Betelgeuse con dettagli notevoli", conclude Cannon. "Espanderà anche in modo significativo il campione di supergiganti rosse per le quali possiamo ottenere immagini dirette della superficie con buona risoluzione, aiutandoci ulteriormente a svelare i misteri della produzione dei venti in queste stelle massicce". 

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venerdì 9 aprile 2021

Nane brune, scoperto un trio da record. by Media INAF.

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LO STUDIO È IN USCITA SU THE ASTRONOMICAL JOURNAL

Nane brune, scoperto un trio da record

Utilizzando i dati di archivio del telescopio spaziale Spitzer, e grazie a osservazioni di follow-up condotte con i telescopi Gemini North e Magellano, un team di astronomi guidato dalla Western University ha scoperto le nane brune più veloci mai conosciute. Il loro periodo, circa un giro all’ora, potrebbe essere vicino al limite di rotazione di questi corpi.

Le nane brunebrown dwarfs in inglese, sono tra gli oggetti celesti più strani e affascinanti del cosmo. Sono corpi troppo grandi per essere considerati pianeti e troppo piccoli per essere vere e proprie stelle. La loro massa è infatti insufficiente a innescare la fusione nucleare, motivo per cui vengono spesso chiamate “stelle fallite”.

Rappresentazione artistica di una nana bruna. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Ma c’è anche un’altra caratteristica unica che contraddistingue questi corpi. È la rapida rotazione intorno al proprio asse: non c’è pianeta o stella, pulsar escluse, la cui velocità di rotazione sia paragonabile a quella di queste “trottole” spaziali, che possono arrivare a compiere una rotazione anche in meno di due ore. Come termine di paragone basti pensare che la Terra ruota attorno al proprio asse una volta ogni 24 ore, mentre Giove e Saturno impiegano circa 10 ore. Il Sole lo fa invece in media ogni 27 giorni, con leggere variazioni tra i poli e l’equatore.

Una delle domande che si pongono gli astronomi è se vi sia un limite alla velocità di rotazione delle nane brune. Secondo quanto riporta uno studio accettato per la pubblicazione su The Astronomical Journal, condotto da un team di ricercatori guidati dalla canadese Western University, un limite c’è, ed è vicino ai periodi di rotazione delle tre nane brune più veloci che siano mai state scoperte finora.

Le tre nane brune in questione sono 2Mass J0348−6022, 2Mass J1219+3128 e 2Mass J0407+1546. Hanno tutte un diametro più o meno simile a quello di Giove ma sono tra le 40 e le 70 volte più massicce. E – qui viene il bello – hanno periodi di rotazione di 1.08 ore, 1.14 ore e 1.23 ore rispettivamente, corrispondenti a velocità di 103.5, 79 e 82.6 chilometri al secondo. Valori dunque inferiori al periodo di rotazione di 1.4 ore di 2Mass J22282889−4310262, la nana bruna detentrice del vecchio record di velocità di rotazione.

A dire il vero nel 2016, in un articolo pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, due ricercatori hanno riportato un periodo di rotazione di 0.288 ore (pari a un giro ogni 17 minuti) per la nana bruna Wisepc J112254.73 255021.5, ma in uno studio pubblicato l’anno successivo, utilizzando il Very Large Array, è stato trovato un periodo più lungo: 1.93 ore. Dunque, i corpi oggetto dell’articolo ora in uscita su The Astronomical Journal sarebbero le nane brune che ruotano più velocemente di qualsiasi altra mai scoperta fino a oggi.

Megan Tannock – dottoranda presso la University of Western Ontario, in Canada, nonché autrice principale della pubblicazione che riporta la scoperta – e i suoi colleghi hanno determinato i rapidi tassi di rotazione dei tre corpi celesti utilizzando i dati d’archivio di Spitzer, il telescopio spaziale della Nasa da gennaio del 2020 a riposo. I ricercatori hanno quindi condotto osservazioni di follow-up con il telescopio Gemini North di Maunakea, alle Hawaii, e il telescopi Magellano del Carnegie Institution for Science, in Cile. I risultati ottenuti da queste indagini hanno sostanzialmente confermato le misure di Spitzer: le tre nane brune completano una rotazione attorno al proprio asse all’incirca una volta ogni ora. Si tratta di periodi orbitali così brevi da essere prossimi – dicono i ricercatori – a un limite di rotazione valido per tutte le nane brune.

«Nonostante le estese ricerche condotte dal nostro e da altri team, non è stata trovata alcuna nana bruna che ruoti più velocemente», osserva Tannock. «Una velocità di rotazione maggiore potrebbe portare una nana bruna ad autodistruggersi».

Ciò che ha spinto gli astronomi a trarre questa conclusione è il fatto che le tre nane brune hanno quasi la stessa identica velocità di rotazione, nonostante le loro età stimate siano molto diverse: 3.5 miliardi di anni per 2Mass J0348-6022, 900 milioni per 2Mass J1219+3128 e 800 milioni per 2Mass J0407+1546. Un fatto strano, se si considera che questi corpi con l’avanzare dell’età si raffreddano, si contraggono e tendono a girare sempre più velocemente.

Immagine che mostra le velocità di rotazione della nana bruna 2Mass J0348-6022, di Giove e Saturno. Le forme sferoidali di questi tre corpi vengono confrontate con cerchi perfetti, disegnati in bianco nell’immagine. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Secondo i ricercatori, le velocità di rotazione dei tre corpi non sarebbero dunque paragonabili per pura coincidenza, ma sono piuttosto il risultato del raggiungimento di un limite di velocità.

Ma davvero questi oggetti potrebbero andare incontro a distruzione se ruotassero a velocità maggiori? Tutti gli oggetti rotanti generano una forza centrifuga perpendicolare all’asse di rotazione, che aumenta quanto più velocemente ruota l’oggetto e che è controbilanciata, fino a un certo punto, dalla forza di gravità. Il risultato di queste forze contrapposte è che il corpo diventa uno sferoide “panciuto” all’equatore e schiacciato ai poli. Gli scienziati chiamano questa “schiacciatura” oblazione. Saturno, che come Giove ruota una volta ogni 10 ore, ha un’oblazione significativa. Secondo gli autori dell’articolo, le tre nane brune hanno probabilmente gradi di oblazione simili. Ciò non significa che le nane brune siano in procinto di disintegrarsi. In altri oggetti cosmici rotanti ci sono meccanismi di frenata naturali che impediscono loro di autodistruggersi. Non è ancora chiaro tuttavia se meccanismi simili esistano nelle nane brune, aggiungono i ricercatori.

«Trovare una nana bruna che ruota così velocemente da perdere la sua atmosfera nello spazio sarebbe spettacolare, ma finora non abbiamo osservato nulla di simile», sottolinea Tannock. «Ciò significa o che qualcosa sta rallentando le nane brune prima che raggiungano quell’estremo o che non possono arrivare arrivare a quelle velocità. I nostri risultati supportano una sorta di limite alla velocità di rotazione, ma non ne conosciamo il meccanismo alla base».

Ma come spiegare allora i modelli secondo cui la velocità di rotazione massima di una nana bruna dovrebbe essere dal 50 all’80 per cento più veloce rispetto al periodo di rotazione di un’ora descritto in questo studio?

«È possibile che queste teorie non abbiano ancora il quadro completo», dice Stanimir Metchev della University of Western Ontario, co-autore dell’articolo. «Potrebbe entrare in gioco qualche fattore sconosciuto che non permette alla nana bruna di ruotare più velocemente. Ulteriori osservazioni e studi teorici potrebbero ancora svelare se esiste un meccanismo di frenata che impedisce alle nane brune di autodistruggersi e se ci sono nane brune che ruotano ancora più velocemente nell’oscurità».

Per saperne di più:

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Integralmente ripubblicato da Media INAF.